Studi IntegraliL'uomo e la scienza

Riflessioni quantistiche di una sera d’inverno

 

Un problema di interpretazione?

Il 14 dicembre 1900 è indicata come la data di nascita della fisica quantistica. In quel giorno, infatti, Max Planck presentava la sua relazione alla German Physical Society di Berlino, nella quale sosteneva che gli scambi di energia nei fenomeni di emissione e di assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche avvengono in forma discreta, non già in forma continua come sosteneva la teoria elettromagnetica classica.

Fotografia di Lorenzo Marzocca

Fu come aprire una porta verso un nuovo Universo, quello delle particelle subatomiche. In poche decine di anni si apprese che alla base della solidità del mondo reale che ci circonda (persone, oggetti, piante, animali, ecc.) c’è un festoso brulicare di minuscole particelle circondate essenzialmente da spazio vuoto, la cui posizione è distribuita in nuvole di probabilità. Una realtà sconvolgente e apparentemente incomprensibile per l’uomo del ‘900: come poteva quel solido masso immobile contenere effettivamente miliardi di microscopici “oggetti” in movimento?

Con il trascorrere degli anni si percorse la strada sempre più in profondità, scoprendo man mano particelle sempre più piccole per le quali venivano coniati nomi fino ad allora sconosciuti: Leptoni, Gluoni, Quark, Neutrini, Fermioni, Bosoni e così via fino alla recente scoperta del Bosone di Higgs (2012) che certamente non sarà l’ultima nel suo genere.

Ciò che avviene nell’infinitamente piccolo (particelle subatomiche) lascia l’uomo senza fiato. Eppure la realtà intorno a noi sembra così diversa da quella che ci viene presentata dalla fisica quantistica. Nel nostro mondo tutto sembra essere lineare (per andare da A a B percorriamo linearmente ciascun punto che li separa), causale (c’è sempre un nesso di causa/effetto), locale (oggetti distanti non possono avere influenza istantanea l’uno sull’altro), deterministico (si può sempre conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di un oggetto) e così via.

Tuttavia nella realtà quantistica tutto ciò viene contraddetto.

Infatti, un elettrone che compie una transizione da un orbitale a un altro, non percorre tutti i punti che li separano, ma esegue un “salto quantico” istantaneo tra i due livelli (assorbendo o cedendo un fotone di energia) senza assumere valori di energia intermedi. Il fenomeno dell‘entaglement quantistico, più volte sperimentato in tempi recenti, (vedi più avanti) ci dimostra come due particelle “entangled” possano reagire istantaneamente anche se portate a grandi distanze fra loro. Il principio di Heinsenberg introduce l’indeterminazione, mostrando come non sia possibile conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella.

In altri termini, le particelle elementari costituiscono il mondo reale sotto i nostri occhi eppure le leggi che ne governano l’esistenza appaiono in grande contrasto con quelle dei corpi materiali da esse costituiti. Certo, sappiamo che i corpi sono costituiti essenzialmente da spazi vuoti e che la loro rigidità è governata dalle forze elettromagnetiche all’interno degli atomi e fra loro, tuttavia il fatto di essere a conoscenza delle leggi più intime della natura non ci esime dal sentir sorgere in noi molto spesso sensazioni di disorientamento e domande irrisolte. L’uomo non può più avere una conoscenza certa del mondo: esso appare dunque come un oggetto del tutto indeterminato e indeterminabile.

Potrebbe essere soltanto un problema di natura epistemologica? Il mondo subatomico si esprime evidentemente con un linguaggio completamente diverso da quello che la mente umana è abituata a usare. Abbiamo cercato di rappresentare la fisica quantistica con le regole matematiche e logiche di cui disponiamo, costringendo le descrizioni di fenomeni così sorprendenti all’interno di formule e ipotesi speculative che alla fine hanno portato solo a convenzioni, indeterminazione, probabilità. In altre parole, abbiamo forse usato un linguaggio improprio per descrivere una realtà che eccede le nostre modalità attuali di comprensione e di definizione, senza invece cercare di trovare la corretta interpretazione del mondo che ci siamo prefissi di esplorare?

Le modalità di pensiero del cervello umano sono probabilmente molto più vaste dei meccanismi matematici che abbiamo usato nel campo della meccanica quantistica. A questo proposito si rimanda all’articolo “Riempire vecchie bottiglie con vino novello” nel quale si è evidenziato come spesso un errato punto di osservazione o un singolo livello di realtà non consentano di cogliere il pieno senso di una questione.

 

Ampliare la visione

Prendiamo come esempio la funzione di Schrödinger, pilastro base della meccanica quantistica. Matematicamente, rappresenta un’onda che nel nostro mondo reale potrebbe essere fisicamente un’onda dell’oceano. Eppure non è così, il suo significato è molto più vasto; abbiamo creato una forzatura, una convenzione per impiegare gli stessi strumenti matematici descrittivi per un fenomeno di natura completamente diversa.

Una galassia a spirale, distante 65 milioni di anni luce
Una galassia a spirale, distante 65 milioni di anni luce

La funzione d’onda di Schrödinger è stata oggetto di numerosi dibattiti da parte dei maggiori filosofi della scienza del secolo scorso. Il suo valore è stato convenzionalmente indicato con la lettera greca ψ la quale calcola la probabilità che una misurazione quantistica abbia un esito particolare. Prima della misura, lo stato del sistema si trova in una situazione di “sovrapposizione” di tutti gli stati possibili: è solo dopo aver eseguito la misurazione che il sistema “collassa” in uno stato determinato.

Ciò si presta a due diverse interpretazioni: ontologica ed epistemologica. Per l’approccio ontologico, ψ rappresenta la realtà quale essa è, e il collasso della funzione d’onda altro non è che il naturale evolversi del sistema a seguito dell’interazione con l’ambiente circostante. Per contro, la visione epistemologica sostiene che ψ rappresenta al massimo la nostra limitata conoscenza dello stato del sistema e il collasso della funzione d’onda non è un processo fisico vero e proprio ma l’aggiornamento quasi istantaneo della nostra conoscenza sullo stato del sistema. È la nostra conoscenza, quindi, che sembra assumere modalità discontinue, non lo stato attuale del sistema quantistico.

Da qui, le possibili speculazioni teoriche diventano innumerevoli. La funzione d’onda è realtà oggettiva o soltanto conoscenza soggettiva? Piuttosto che proseguire sulla strada dei paradossi e delle speculazioni mentali, potrebbe essere più costruttivo intraprendere prima un percorso di riflessione. Abbiamo visto che la fisica e la matematica ci hanno presentato sostanzialmente 3 mondi distinti: quello microscopico delle particelle, quello visibile in cui viviamo su questa Terra e il mondo cosmologico delle grandi distanze intergalattiche. Per ciascuno di questi mondi gli scienziati hanno studiato ed elaborato formule che ne descrivono le leggi fondamentali. Eppure, nonostante gli sforzi, non è stata ancora trovata e sperimentata una legge unificatrice che esprima la sua validità dalla fisica quantistica alla cosmologia.

Si affaccia quindi all’orizzonte l’esigenza di allargare i confini oltre le limitazioni imposte dalle correnti modalità di ricerca scientifica, secondo un approccio che tenga conto anche di altre discipline umane che integrino – con intuizioni e conoscenze specifiche – i modelli presentati dalla fisica analizzandoli attraverso la prospettiva di diversi livelli di realtà. In altri termini, una ricerca transdisciplinare che sia in grado di integrare al suo interno il “ricercatore” (l’uomo) e realizzare le connessioni necessarie.

La risposta a questo problema è data dal riconoscere che esistono differenti vie della conoscenza e non esiste gerarchia fra esse. Al contrario, le diverse modalità sono complementari e afferiscono a diversi livelli di realtà. Basarab Nicolescu, fisico teorico, Presidente e fondatore del Centro Internazionale per gli Studi e le Ricerche Transdisciplinari (CIRET), ha introdotto il concetto di “livelli di realtà” come primo assioma fondamentale della transdisciplinarità.

Tornando al nostro caso, possiamo rilevare con semplicità i tre livelli:

  1. il livello macrofisico;
  2. il livello microfisico;
  3. il livello cosmologico.

Secondo il comune approccio scientifico le leggi fisiche in ciascuno di questi domini di realtà sono isolate e valgono soltanto all’interno di ciascun dominio separatamente. Eppure i tre livelli esistono simultaneamente e le contraddizioni presenti in uno dei livelli diventano non contradditorie negli altri due.

Un esempio di quanto appena asserito lo possiamo ritrovare nel fenomeno psicologico della sincronicità, concetto introdotto da Carl Gustav Jung come un legame tra due eventi che avvengono contemporaneamente, connessi tra loro in maniera non causale (vedi articolo Incontro tra Jung e Pauli). La non causalità è un principio che non trova ragione di esistere nel nostro livello di macrocosmo, eppure per la realtà quantistica è uno dei principi basilari dell’entanglement.

 

Una chiave di lettura: l’entanglement

L’entanglement è uno dei fenomeni più sorprendenti legati al mondo quantistico delle particelle. Due particelle si dicono in uno stato di entanglement quando le proprietà di una di esse sono completamente correlate con le proprietà dell’altra. (es: due elettroni sullo stesso orbitale sono descritti da un’unica funzione d’onda. Hanno ciascuno spin opposto, secondo il principio di esclusione). Due particelle entangled non rappresentano più due enti separati, ma un’unica manifestazione di una sola entità.

Rappresentazione grafica del fenomeno dell'entanglement
Rappresentazione grafica del fenomeno dell’entanglement

Numerosi esperimenti in tempi e luoghi diversi hanno ripetutamente confermato questo fenomeno, inducendo la variazione istantanea di uno stato di una particella entangled anche a molti chilometri di distanza dall’altra. Questo ingenera un meccanismo di apparente propagazione istantanea dei segnali, oltre la velocità della luce, ma questa conclusione è errata: infatti non esiste alcuna “propagazione” in quanto non esiste un meccanismo di causa-effetto, non c’è nulla che fisicamente “viaggia” da una particella all’altra. Non si tratta di segnali, ma della struttura più intima dell’Universo, dove tutto esiste intimamente legato, al di là dello spazio e del tempo.

I riflessi del fenomeno dell’entanglement nel mondo in cui viviamo sono molteplici. Oltre alla già citata sincronicità psicologica, sono state rilevate trasmissioni di energia quantistica in particelle entangled all’interno del processo di fotosintesi delle piante (vedi articolo su Kurzweil Accelerating Intelligence).

Secondo gli studi effettuati dal fisico inglese Roger Penrose, il cervello umano non è guidato da algoritmi quindi i suoi processi o meccanismi non sono descrivibili secondo il formalismo matematico tradizionale. A questo punto, però, la teoria quantistica si pone come possibile candidato per la definizione di un modello plausibile. Insieme al medico Stuart Hameroff, Penrose scoprì come i microtubuli delle cellule cerebrali (costituenti il citoscheletro delle cellule) siano i candidati idonei a supportare l’elaborazione quantistica e in particolare il citato fenomeno dell’entanglement.

I due scienziati, a seguito di recenti sperimentazioni della loro teoria denominata Orch-OR (Orchestrated Objective Reduction), hanno suggerito una relazione diretta tra le vibrazioni quantistiche dei microtubuli e la formazione della coscienza. Hameroff e Penrose scrivono che “l’origine della coscienza riflette il nostro posto nell’universo, la natura della nostra esistenza. La domanda da farsi è: la coscienza si è evoluta da complessi calcoli tra i neuroni del cervello o invece è la coscienza stessa, in qualche modo, a starci sempre accanto come il guscio di una tartaruga? … la nostra teoria ospita entrambi i punti di vista, suggerendo che la coscienza derivi da vibrazioni quantistiche in microtubuli che gestiscono le funzioni neuronali e sinaptiche e che collegano i processi cerebrali a processi di auto-organizzazione”.

Molti moderni scienziati, tra i quali il fisico teorico Brian Greene della Columbia University ritengono che l’universo sia un tutto intrinsecamente entangled e coerente con se stesso. Se l’universo era – circa 15 miliardi di anni fa – concentrato in un punto di densità pressoché infinita, ci sono valide ragioni per ritenere che in quel periodo tutte le particelle componenti l’universo fossero tra loro entangled, vista la notevole e strettissima interazione cui erano sottoposte. Se è così, un fantasma di questo antico legame è stato mantenuto anche ai giorni nostri, a livelli che ancora non conosciamo: una sorta di entanglement universale al livello più fondamentale delle particelle.

Ci sarebbe allora da ritenere che in qualche modo tutte le particelle dell’universo mantengano una sorta di memoria di ogni altra particella in esso contenuta e che la separazione che divide le cose nel nostro universo quotidiano – seppur reale da un punto di vista newtoniano e relativistico – sia solo un’illusione se vista da punti di vista di altri livelli di realtà.

Che cosa è rimasto dell’entanglement iniziale? Quali connessioni ancora inesplorate potranno rivelarsi inaspettatamente? In questo momento possiamo solo avere la certezza, come confermato dalla scienza e già teorizzato dalle antiche culture sapienziali, che l’uomo è parte di un Tutto, microcosmo di un macrocosmo, docile fibra dell’universo.

 

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