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Robot: sarà l’uomo a farsi da parte?

 

I robot non sono solo quelli umanoidi della cinematografia fantascientifica. In numerosi articoli abbiamo trattato gli inquietanti aspetti della ricerca e i successi (?) della tecnologia su queste frontiere (vedi es: Le ambigue promesse della robotica antropomorfa e altri) eppure – in accordo con la definizione di Treccani – per robot si intende un “apparato meccanico ed elettronico programmabile, impiegato nell’industria, in sostituzione dell’uomo, per eseguire automaticamente e autonomamente lavorazioni e operazioni ripetitive, o complesse, pesanti e pericolose“. Secondo tale specificazione, ci accorgiamo che siamo circondati da robot ma solo i più recenti sviluppi della ricerca sull’Intelligenza Artificiale hanno acceso negli animi un interesse più approfondito.

Il primo sguardo quindi occorre volgerlo all’industria, in particolare quella meccanica di costruzione dei mezzi di trasporto più comuni: automobili, treni e velivoli. In questi stabilimenti il robot ha soppiantato la “classe operaia”, quella che andava in Paradiso in un noto film di Elio Petri del 1971. In quella pellicola, ogni mattina il personaggio interpretato da Gian Maria Volontè ascoltava il messaggio diffuso in fabbrica attraverso gli altoparlanti: «Lavoratori, buongiorno. La direzione aziendale vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione. Le misure di sicurezza suggerite dall’azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina. Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che: macchina più attenzione uguale produzione. Buon lavoro.»

Oggi, la classe operaia non va più in Paradiso, semplicemente perché non esiste più la classe operaia se non nei patetici proclami di qualche romantico sindacato. Ha subìto una metamorfosi, si è “sciolta” nell’ambiente circostante e oggi, al posto delle tute blu, alcuni di loro indossano camici inamidati attraverso i quali osservano gigantesche strutture meccaniche che – a distanza di sicurezza – costruiscono quelle stesse automobili che un tempo passavano tra le loro mani. I più anziani e fortunati hanno cercato rifugio in pensioni anticipate mentre i più giovani sono nati cadendo nelle mani dell’infosfera e dell’oceano delle cosiddette “Partite IVA”, una delle classi più vessate dalle attuali pressioni fiscali.

Tornando a volgere lo sguardo alla moderna industria e alle modificazioni degli ultimi 50 anni, ci accorgiamo che si è costruito l’ambiente attorno alle macchine, e non viceversa. In altri termini, il robot non si è adattato all’uomo, ma l’uomo all’automa. E oggi questa soluzione si mostra come la più ovvia, ai più. Non c’era altro da fare che demolire le catene di montaggio e riempire l’area della fabbrica con rotaie a terra e sul soffitto, gabbie di protezione per i robot, centri di controllo pieni di strumenti lampeggianti e allontanare l’uomo da quelle aree, laddove l’automa sarebbe stato in grado di fare meglio di lui, più velocemente di lui, a costi inferiori ai suoi.

L’ambiente, quindi, si modifica “a misura di robot“.

Un esempio che tutti abbiamo nelle nostre case, si trova in cucina. La robotica non è entrata in cucina in simbiosi con le nostre abitudini e i nostri spazi, ma abbiamo dovuto modificare l’ambiente per introdurre la grande scatola magica della lavastoviglie (per quanto mi riguarda, strumento indispensabile!) e adattare l’uomo alle sue esigenze. Ci siamo tutti “fatti da parte” molto volentieri, pur non passare le ore attorno al lavello, ma questo è stato un gioco facile. Fino a quale limite siamo ancora disposti a “farci da parte” e modificare i nostri spazi e ambienti? Si percorre il pericoloso confine delle questioni etiche e – a quanto pare – nessun organismo politico è oggi in grado di controllare fin dove le aziende commerciali intenderanno giungere. Scrive Luciano Floridi (professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford) in una recente intervista: «Così andiamo implicitamente verso una situazione in cui saremo noi umani ad adattarci agli ambienti che abbiamo adattato ai robot affinché i robot funzionino».

Un caso lampante è rappresentato da un mio amico che – per mantenere sempre il prato del giardino opportunamente rasato – ha acquistato un robot che “pascola” sull’area tagliando l’erba che supera una certa altezza. Ovviamente, non è stato sufficiente acquistare la macchina e accenderla, ma ha dovuto procedere a un’accurata “preparazione” del giardino, stendendo decine di metri di filo elettrico interrato lungo il perimetro, installando un punto di ricarica delle batterie e predisponendo vari pozzetti di raccordo e sensori. Tutto questo, per far conoscere alla macchina il percorso entro il quale è autorizzata a lavorare e dove si trova la stazione di ricarica (metaforicamente, la “ciotola con il cibo“). In altri termini, ha dovuto modificare il suo ambiente per renderlo robot-compatibile.

Recentemente, la società britannica “Moley Robots” (vedi video), con il messaggio promozionale “Il futuro è servito”, ha creato la prima cucina robotica al mondo. Completamente funzionale, ha bisogno di uno spazio esclusivamente dedicato, nel quale due braccia meccaniche operano con la stessa abilità tecnica di uno chef per la preparazione di cibi sui piani di cottura. Al termine, ripone i piatti nella zona di lavaggio automatico e ripulisce i piani di cottura. Il tutto avviene dietro la protezione di un grande pannello di cristallo, per evitare interventi “umani”.

Com’è evidente, non appena i robot industriali escono dalla fabbrica per affrontare gli ambienti sociali o casalinghi, occorre modificare questi ultimi secondo le regole della macchina ed è comunemente necessario che sia l’uomo a farsi da parte. Gli esempi riportati sono banali, forse addirittura innocui per il momento, tuttavia rappresentano la rapida tendenza di un’evoluzione incontrollata di tecnologie. Tutti guardano il dito, senza vedere la luna cui punta. E in questo caso, si tratta di una luna minacciosa che dovrebbe lasciar riflettere su alcuni aspetti principali del futuro dell’umanità.

Chi decide cosa immettere sul mercato, come modificare gli ambienti, quanto influire sullo sviluppo umano e in quali problemi etici s’incorre? Chi decide come dovrebbe essere il mondo? Purtroppo, queste decisioni sono oggi lasciate a completa disposizione di aziende commerciali, governate dall’unica legge che prevale nel mondo: quella economica. La Politica – intesa come la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica – sta vivendo il suo generale fallimento. Alle aziende non interessa gestire il potere politico (quanto piuttosto influenzarlo) quindi la regolazione è lasciata in un inquietante vuoto di responsabilità.

Rileggendo alcuni romanzi di Philip K. Dick, ho annotato una frase interessante la quale, pur potendo intendersi un ossimoro, racchiude in sé il significato più ampio del momento di transizione in corso: «Il futuro non è più quello di una volta!» (Philip K. Dick – The Father Thing).

 

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