Studi IntegraliL'uomo e la scienza

Il respiro del tempo

 

Tempo immanente

Per secoli l’uomo ha cacciato, ha portato gli animali al pascolo, ha coltivato i campi e solcato i mari senza alcun tipo di strumento per misurare il tempo. Allora il tempo non veniva misurato, ma solo stimato con vaga approssimazione eppure il suo ritmo era sufficiente a dettare i passi della giornata e della vita dell’uomo. Successivamente, per molti secoli ancora, le clessidre hanno accompagnato le civiltà con il lento fluire dei loro granelli. Scrive Ernst Junger in “Il libro dell’orologio a polvere” (Das Sanduhrbuch – 1954): “Questo piccolo monte, formato da tutti gli attimi perduti che cadevano gli uni sugli altri, lo si poteva intendere come un segno consolante del fatto che il tempo dilegua ma non svanisce. Cresce in profondità“.

Per i filosofi dell’antica Grecia, il tempo era solo un modo di misurare come si muovono le cose nel quotidiano e comunque esisteva una netta distinzione tra tempo “quantitativo” (kronos) e tempo “qualitativo” (kairòs). Già per Parmenide il tempo è apparenza, perché la sua esistenza implicherebbe il venire in essere degli eventi, ovvero un assurdo passaggio dal loro precedente non essere (ciò che è futuro non è ancora) all’essere (il presente). Esiste solo l’essere.

Il più grande sostenitore dell’universo parmenideo fu proprio Albert Einstein con la sua teoria della relatività generale, in cui tutti i sistemi di riferimento sono presenti da sempre, allo stesso istante. Dice Einstein: “Il Tempo non è affatto ciò che sembra. Non scorre in una sola direzione e il futuro esiste contemporaneamente al passato“.

 

Linearità e Ciclicità

Mandala di Kalachakra

Fu Newton che, per costruire la sua fisica, immaginò la possibilità di un immenso spazio vuoto dove il tempo trascorre, anche se non c’è niente e nulla che si muove. Newton separò il tempo dagli accadimenti del mondo, immaginando che il tempo passasse comunque, indipendentemente da tutto il resto. Per descrivere l’evoluzione dei fenomeni fisici, fu introdotta in matematica una rappresentazione lineare e costantemente crescente del tempo, a partire da un’origine (il Big Bang, 13 miliardi di anni fa) all’infinito futuro. Eppure il tempo è anche una ritmica successione delle fasi in cui si svolge il divenire della natura, dettato da eventi ripetibili e comunque armonici all’interno di una ciclicità imperturbabile.

Nell’antica filosofia indiana, come riportato nei Veda, l’universo passa attraverso ripetuti cicli di creazione, distruzione e rinascita. Ciò ha portato a una visione ciclica del tempo, la cosiddetta “ruota del tempo” o Kalachakra, che contiene ere ripetute nell’infinita vita dell’universo. Il concetto della ruota del tempo si ritrova anche nel buddismo, così come nelle tradizioni degli antichi greci (Orfici e Pitagorici), ma anche in altre religioni come quelle dei Maya e gli indiani dell’Arizona.

In fisica, l’unità di tempo (il secondo) è definita come la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio-133. Quindi, misurando un avvenimento periodico ci avvaliamo di un evento ciclico.

Mentre lo spazio, il calore, l’elettricità, il magnetismo sono grandezze che si rendono evidenti in natura – senza nessuna necessità di intervento umano – come si esprime il tempo? La sua presenza si manifesta nell’universo attraverso fenomeni ciclici quali la rotazione dei pianeti, quella delle stelle, l’evolversi di un’onda periodica o la semplice transizione ritmica delle stagioni. In altri termini: un respiro, il respiro del tempo.

 

Nell’universo non esiste “questo momento”

Einstein ha fatto notare al mondo che nell’intervallo tra ciò che chiamiamo “passato” e quello che chiamiamo “futuro” esiste qualcos’altro che non era stato mai notato fino a quel momento. Non esiste soltanto un effimero e fuggente istante del “presente”, ma molto di più.

Il motivo che ci fa trascurare questo intervallo è dato dal fatto che generalmente, nel nostro quotidiano, esso dura veramente poco e la sua durata dipende dallo spazio, dalla distanza. Se due persone parlano nella stessa stanza, il tempo “né passato né futuro” non viene notato, in quanto di durata prossima a pochi nanosecondi. Durante una comunicazione telefonica tra Roma e Sydney, diventa più evidente ma sempre piuttosto trascurabile.

Se invece la comunicazione si sposta tra New York e Marte, questo misterioso “né passato né futuro” assume la durata di 13 minuti e diviene così un elemento rilevabile e sostanziale dell’esperienza. La comunicazione non potrà mai avvenire istantaneamente perché ciò che un interlocutore ascolta, è stato detto 13 minuti prima dall’altro. Cioè esistono 13 minuti in cui l’istante non è “né passato né futuro” per ciascun interlocutore, ma si trova in un limbo temporale. Secondo la fisica, questo fenomeno è estremamente logico e semplice da spiegare, eppure le sue conseguenze sono molto importanti: significa che non esiste “questo momento” nell’universo.

In altri termini, non esiste un unico orologio cosmico che scandisce la vita dell’universo. Ogni oggetto dell’universo ha il suo tempo che scorre, diversamente da ciascun altro. Fisici e filosofi sono giunti alla conclusione che l’idea di presente comune per tutto l’universo sia solo un’illusione e che considerare il tempo come un flusso che scorre sia una generalizzazione che non funziona.

Per dirla come Martin Heidegger, l’uomo “abita il tempo“. Tuttavia questo “abitare” potrebbe scaturire solo da una nostra immagine ancora sbiadita e sfocata del mondo.

 

La persistenza della memoria - Salvador Dalì
La persistenza della memoria – Salvador Dalì

Il tempo non esiste. La teoria della gravità quantistica a loop

Il secolo scorso è stato segnato dalle conferme sperimentali di due tra le più importanti teorie della Fisica: la relatività generale e la meccanica quantistica. Eppure questi due gioielli appaiono tra loro incompatibili e non riescono tuttora a rappresentare simultaneamente l’Universo: per la relatività generale il mondo è uno spazio curvo dove tutto è continuo, per la meccanica quantistica il mondo è rappresentato da infinite particelle discrete dove saltano quanti di energia.

Una nuova teoria (non ancora confermata sperimentalmente) che offrirebbe la possibilità di riunire queste due gemme è la “Gravità quantistica a Loop“, di cui uno dei maggiori esponenti è il fisico italiano Carlo Rovelli. Si tratta di una teoria matematicamente molto complessa ma dalle conclusioni sorprendenti: l’Universo non è uno spazio continuo ma è formato da grani, cioè da minuscoli “atomi di spazio” che formano una rete di relazioni che tesse la trama dello spazio stesso. Ma è la seconda conseguenza della teoria a essere la più estrema. Scrive Rovelli: “Come sparisce l’idea dello spazio continuo che contiene le cose, così sparisce anche l’idea di un tempo elementare e primitivo che scorre indipendentemente dalle cose. Le equazioni che descrivono grani di spazio e materia non contengono più la variabile tempo“.

Non c’è più una linea lungo la quale scorrono gli avvenimenti, ma lo scorrere del tempo è interno al mondo, nasce nel mondo stesso e ogni processo danza al proprio ritmo, indipendentemente dagli altri.

Se la teoria della gravità quantistica a loop è corretta, l’illusione di uno spazio e di un tempo continui intorno a noi è solo “la visione sfocata di questo fitto pullulare di processi elementari“.

 

Percezione del tempo

Il tempo scorre in modo diverso per alcuni di noi, seppure l’uomo abbia ingannevolmente voluto codificarne una misura universale per tutti. Le misure hanno chiuso le nostre emozioni in ineludibili conchiglie virtuali. Sarà certamente capitato, alla fine di una giornata, di avere l’esatta cognizione che da quella particolare alba a quel tramonto fosse passato molto più tempo rispetto a quello del giorno prima. Oppure la palese differenza che esiste – in termini di percezione del tempo – tra una settimana passata a letto con l’influenza e una trascorsa in un’intensa attività di lavoro o di piacere. Quando i giorni passano uno uguale all’altro, nel voltarci indietro a ricordarli ci appaiono tutti indistinguibili fra loro e non riusciamo più a misurarli, non c’è alcuna differenza tra un’ora e l’altra, e la più piccola definibile unità temporale è il giorno nella sua totalità: il tempo sembra perciò avere accelerato il suo rintocco. Tuttavia ecco invece che della settimana di avvenimenti intensi riusciamo a ricordare ogni giorno, addirittura ogni ora di ciascuno di essi, con riferimenti precisi e molto chiari, tanto che ci sembra di riuscire a spezzare il tempo e ogni suo singolo istante in infinite particelle ciascuna degna di propria dignità: abbiamo rallentato l’inesorabile flusso di granelli dell’orologio a sabbia e siamo riusciti ad apprezzarne ogni minuscolo elemento. Sono perciò i fatti e gli avvenimenti, il nostro organo di percezione del passare del tempo. Più il contenuto di questi è ricco e interessante di argomenti che soddisfano e gratificano la nostra anima, più lentamente scorrerà la nostra clessidra.

La segretaria di Einstein, Helen Dukas, una volta gli chiese una spiegazione semplice della relatività da utilizzare in risposta alle continue richieste dei giornalisti. Dopo averci riflettuto su, il grande scienziato propose questa: «Un’ora seduti su una panchina al parco con una bella ragazza sembra un minuto, mentre un minuto seduti su una stufa rovente sembra un’ora».

 

Il tempo è uno dei nostri sensi

È interessante la posizione di Sara Jacobovici in un suo recente articolo: il tempo è uno dei nostri sensi, insieme a udito, tatto, gusto, olfatto e vista, e come tale è possibile creare un proprio “profilo del tempo” personale. Il tempo viene “percepito” dal nostro corpo così come gli altri sensi percepiscono le relative sensazioni ed esso diviene reale per gli esseri umani nel momento e nelle modalità in cui la coscienza ne prende atto.

Il tempo tecnologico è un tempo misurato. Il tempo umano è percepito e vissuto“.

Sebbene il tempo non si manifesti direttamente associato con un evidente “organo di senso”, è ormai parere comune di psicologi e neurologi che il cervello umano sia dotato di un sistema che governi la percezione del tempo, che coinvolge la corteccia cerebrale e il cervelletto. L’uomo è un essere sensoriale e, tenuto conto della definizione di “senso” [*], possiamo quindi considerare il tempo come un senso.

Ma se il tempo è un senso, qual è dunque il senso del tempo?

 

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[*] Senso: qualsiasi sistema che consiste di un gruppo di cellule sensoriali che rispondono a uno stimolo esterno e che corrisponde a un particolare gruppo di regioni all’interno del cervello in cui i segnali vengono ricevuti e interpretati.

 

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