Studi IntegraliL'uomo e la scienza

Il concetto di misura tra Oriente e Occidente

 

Come ci ricorda Platone nel dialogo “Politico“, si può misurare «ponendo in reciproci rapporti di grandezza e piccolezza» oppure seguendo «l’essenza necessaria della loro genesi» (283d). La misura è stata, per il mondo Occidentale, uno degli acceleratori fondamentali del progresso scientifico e tecnologico, frammentando la natura in ogni sua parte e osservando (misurando) i singoli elementi costituenti. Tutto ciò, fino a giungere alla linea di confine tracciata dalla fisica quantistica, oltre la quale l’osservazione non può più spingersi senza modificare la realtà sottostante.

Dobbiamo evidenziare principalmente tre caratteristiche e comportamenti della materia nel mondo subatomico che ci portano a nuove considerazioni:

  • La teoria quantistica implica che tutti i sistemi materiali godano della proprietà di realtà duale onda-particella. Un elettrone, rilevato come particella singola, sotto certe condizioni si comporta come un’onda. Questa duplice natura dei sistemi è totalmente in contrasto con la fisica newtoniana, in cui ogni sistema ha la sua propria natura indipendentemente dal contesto.
  • Ogni forma misurabile di energia, quantità di moto o altre proprietà caratteristiche si rivelano come multiple di un valore detto “quanto” che non può essere ulteriormente suddiviso. Un elettrone “salta” da uno stato a un altro senza passare attraverso stati intermedi (emettendo o assorbendo contemporaneamente un quanto di energia luminosa).
  • Non-località. Sotto certe condizioni, due particelle che hanno interagito almeno una volta, possono rispondere istantaneamente ai reciproci cambi di stato anche anni più tardi, a distanze molto elevate fra loro (entanglement).

Tutto ciò – secondo David Bohm – si può riassumere in termini di una nuova nozione di totalità quantistica, la quale implica che il mondo non possa essere analizzato in parti separate, ma solo nella sua totalità di rappresentazione. Ciò comporta che, in un’osservazione effettuata a livello quantistico, l’apparato di misurazione e il sistema osservato non possano essere considerati come entità separate. Piuttosto, ciascuno partecipa dell’altro a tal punto che non è possibile attribuire il risultato osservato inequivocabilmente al solo sistema sotto misura. La frammentazione dell’analisi può essere applicata solo in un dominio in cui sia valida la fisica newtoniana, ma dobbiamo considerare che – fondamentalmente – la totalità quantistica rappresenta il substrato primario della realtà fisica.

Anche Niels Bohr svolse un’analisi molto sottile di questo problema, giungendo – attraverso altre considerazioni – alle stesse conclusioni: l’intero processo di misurazione deve essere trattato come un unico fenomeno, un insieme non ulteriormente analizzabile. Il mondo delle particelle subatomiche appare come una rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unico. La particella isolata è un’idealizzazione; ogni particella può essere definita solo in rapporto alle sue connessioni con il tutto.

Nelle fasi iniziali della civiltà, come risulta dalle tradizioni sapienziali e da testimonianze millenarie, l’uomo sentiva di partecipare alla natura come a un tutto integrale e universale. Tale modalità sopravvive ancora in Oriente (soprattutto in India), ove la filosofia e la religione hanno sempre prospettato una visione unica in cui le singole realtà erano implicate.

Possiamo soffermarci sulle principali differenze del concetto di “misura” nelle culture Orientali e Occidentali.

In Occidente la nozione di misura ha, sin da tempi remoti, svolto un ruolo chiave nel determinare la visione del mondo e il modo di vivere che una tale visione implica. Per gli antichi Greci, uno degli elementi essenziali per una vita corretta era rappresentato dal saper tenere tutto “nella sua giusta misura“. Tuttavia la misura non era considerata nel suo senso moderno come essenzialmente una sorta di confronto di un oggetto con uno standard esterno o l’unità, ma come una sorta di visualizzazione esterna di una “misura interna”, profonda, che svolgeva un ruolo essenziale nel tutto. “Andare oltre la giusta misura” assumeva quindi il significato di rottura interiore di un’armonia, perdita di integrità e frammentazione.

In questa concezione la misura è comprensione dell’essenza del Tutto e solo questa porterà l’uomo a una vita armoniosa e alla conoscenza di sé nel rispetto del divino che sempre rappresenta la totalità.

A questo proposito ricordiamo che per gli antichi Greci la misura rappresentava l’asse portante dell’armonia musicale (ad es. il ritmo, la giusta proporzione di intensità del suono, la giusta proporzione in tonalità, etc.) e delle arti visive che proponevano la bellezza come armonia complessiva e (ad esempio, il “giusto mezzo” Aristotelico).

La misura non consisteva in un mero confronto con uno standard esterno, ma in una sorta di rapporto interno o proporzione universale, percepita sia attraverso i sensi che la mente. Nel famoso detto di Protagora “L’uomo è la misura di tutte le cose” il significato del termine “misura” era inteso come “limite” o “confine” e, in tale senso, ogni cosa aveva la sua misura.

Col passare del tempo, la parola ‘misura’ ha cominciato gradualmente a perdere il suo denso e ampio significato di rapporto universale fino a assumere sempre più una connotazione materiale e meccanica e a indicare soprattutto un processo di confronto di qualcosa con uno standard esterno. Così l’atto del misurare è diventato sempre più un comportamento abituale e di routine e una regola imprescindibile per la conoscenza oggettiva della realtà fisica finendo con l’essere applicato indiscriminatamente a ogni realtà. L’uomo stesso è divenuto oggetto di misurazione: lo sono la sua struttura fisica, mentale, psicologica come le sue abitudini, emozioni ecc. Ciò ha comportato implicazioni rilevanti nella vita dell’uomo sia per la salute e l’armonia mentale dei singoli, sia per l’ordine sociale.

In Oriente la nozione di misura non ha quasi mai rivestito un ruolo così fondamentale. Piuttosto, nelle filosofie Orientali, l’incommensurabile (che non può essere nominato, descritto, o capito attraverso la ragione) è considerato la realtà primaria. In sanscrito dalla stessa radice proveniva la parola ‘Matra’ che significava ‘misura’, nel senso musicale (cfr. il greco ‘Metron’), e anche la parola ‘maya’ che aveva il significato di ‘illusione’, apparenza, mondo fenomenico.

Se dunque per la società occidentale, la misura, nella sua più comune accezione, sembra essere la garanzia o la chiave di lettura della realtà, in Oriente la misura è comunemente considerata ingannevole e illusoria e l’intera struttura e l’ordine di forme, proporzioni, e rapporti che si presentano alla percezione ordinaria, sono considerati l’apparenza sensibile di una realtà che non può essere percepita dai sensi né compresa dal pensiero razionale o espressa dalla parola dell’uomo. Così, in Occidente, la società ha soprattutto enfatizzato lo sviluppo della scienza e della tecnologia (dipendenti dalla misura), mentre in Oriente l’accento è stato posto sulla religione e la filosofia (che guardano all’incommensurabile).

Scrive David Bohm: «Se si considera attentamente questo problema, si può notare che in un certo senso l’Oriente ha correttamente individuato l’incommensurabile come la realtà primaria in quanto, come già specificato, la misura è un’idea creata dall’uomo. Una realtà che va oltre l’uomo e prima di lui, non può dipendere da tale idea. Tuttavia, se l’incommensurabile rappresenta la realtà primaria, è altrettanto evidente che la misura è un concetto secondario e dipendente – ma altrettanto necessario – della realtà. Quando la misura si identifica invece con l’essenza stessa della realtà, questo è illusione».

Il mondo quantistico ci fa intravedere come ogni misurazione altera lo stato del sistema stesso e non può identificarsi con l’essenza della realtà. Tutto ciò che viene assimilato nel campo della misura è reale, ma condizionato proprio dalla totalità incommensurabile che include ogni campo della misura.

In altri termini, la meccanica quantistica descrive quello che succede nel mondo subatomico “quando non stiamo misurando”, però l’effettivo passaggio dalla descrizione della realtà non osservata (incommensurabile) a quella misurata con i nostri dispositivi è ancora una sorta di mistero. Per sapere qualcosa su un sistema, lo dobbiamo misurare, ma misurandolo non riusciamo a vedere la sua vera natura (essenza della realtà) giacché provochiamo un collasso della funzione d’onda.

La realtà fisica, infatti, esiste indipendentemente da noi, e come sia esattamente il mondo fisico non dipende dal nostro criterio di osservazione o misurazione. Come dice Werner Heisenberg «Ciò che osserviamo non è la natura stessa, ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine».

Le particelle subatomiche non hanno significato come entità isolate, ma possono essere comprese soltanto come configurazioni di interconnessioni: non è possibile scomporre il mondo in unità minime dotate di esistenza indipendente. Per quanto ci si addentri nella materia, la natura appare come una complessa rete di relazioni tra le varie parti del tutto.

Scriveva qualche anno fa il fisico Albert-Laszlo Barabasi, nel suo libro “How everything is connected to everything else and what it means for business, science, and everyday life” (2003):«Non siamo mai stati, come nei nostri giorni, così vicini a conoscere tutto ciò che c’è da sapere sulle singole parti. Tuttavia non siamo nemmeno mai stati così lontani dalla conoscenza della natura nel suo complesso».

 

2 pensieri riguardo “Il concetto di misura tra Oriente e Occidente

  • l’uomo può fermare l’infinito ! Lo afferma Don Juan e lo sanno i veri . Buon lavoro, Fulvio.

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