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Prometeo: l’eterna illusione

Il mito ci racconta che Prometeo è il progenitore degli uomini. Prevedendo come si sarebbe conclusa la rivolta dei Titani, egli preferì schierarsi dalla parte di Zeus e lo distolse dal proposito di distruggere l’intero genere umano. A seguito però dell’inganno del toro perpetrato proprio da Prometeo a favore degli uomini, Zeus infuriato lo punì privando quest’ultimi del fuoco.

Punizione di Prometeo e di suo fratello Sisifo, Kylix a figure nere, ca. 550 a. C.

In questa breve riflessione tralasciamo gli interessanti aspetti filosofici che riconoscono in questa perdita del fuoco una vantaggiosa restituzione al genere umano di uno status iniziale (v. G. Lampis – La nascita dell’uomo – Edizioni Mythos), ma continuiamo a ricordare il mito. A seguito di questo gesto da parte di Zeus, Prometeo entrò di nascosto nell’Olimpo, accese una torcia al divampante carro del Sole e ne staccò una brace ardente che riconsegnò agli uomini.

Zeus giurò di vendicarsi: fece incatenare Prometeo, nudo, a una vetta del Caucaso, dove un avido avvoltoio gli divorava il fegato tutto il giorno, un anno dopo l’altro. E il suo tormento non aveva fine, poiché ogni notte (mentre soffriva i morsi del freddo) il fegato gli ricresceva.

Donare il fuoco agli uomini era un gesto attraverso il quale Prometeo voleva metterli in grado di manipolare autonomamente le cose, adattarle ai loro bisogni, divenire capaci di governarsi., in altre parole aveva fatto loro dono della tecnica. All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per avere una vita più facile, ma il mito di Prometeo ci ricorda che il dono è sempre anche un inganno, che il dono non solo libera ma anche obbliga, che conferisce ma al tempo stesso sottrae.

Senza l’apporto di un sapere privilegiato, la tecnica infatti è uno strumento duplice che proprio perché offre nuove opportunità, nasconde molteplici insidie, potenzialmente altrettanto deleterie per la sopravvivenza dell’umanità quanto sembrano illimitati i progressi che essa garantisce. Essa contiene la facile promessa della felicità e l’abolizione della fatica e del dolore – quindi del sacrificio – senza dover percorrere gli stadi del processo creativo e quindi prescindendo dalla conoscenza e dal sapere.

Ricordiamo come, nelle antiche tradizioni, la tecnica era sempre considerata legata alla sfera del sacro e quindi apparteneva generalmente a un capo religioso o allo sciamano, che avevano superato le notevoli prove necessarie per acquisire la consapevolezza con cui gestire l’immane potenziale dell’azione. La centralità della tecnica nel mondo moderno nasce dalla scomparsa dell’interrogazione fondamentale sul senso della vita umana e si è sviluppata nell’illusione prometeica di potersi impadronire, delle cose e di adattare il mondo alle proprie esigenze.

L’azione è sempre carica di un potenziale di duplice aspetto e comprende inesorabilmente anche possibili pericolose derive. La straordinaria potenza della tecnica facilmente acquisita a chi non ha raggiunto la necessaria consapevolezza, può portare a una sensazione di onnipotenza, aprendo in apparenza le porte verso il cielo; ma può anche risucchiare in una pericolosa spirale senza fine.

La disponibilità di poter semplicemente acquistare al mercato la soluzione tecnica senza aver percorso il lungo e faticoso processo iniziatico che conferisce le necessarie annesse virtù, apre al rischio dell’errore di confondere il proprio benessere momentaneo o la soddisfazione della necessità immediata, dimenticando l’orizzonte più ampio in cui vale la legge del Tutto che trascende quella dell’individuo.

In altri termini, l’accesso indiscriminato della tecnica a ogni livello consegna a buon mercato l’oppiacea illusione di poter allontanare il confronto con il mistero della vita, sempre legato al mistero della morte.

Più forte la potenza tecnica acquisita, più forte è la necessità di un’intensa riflessione e del raggiungimento di una più profonda consapevolezza che porti a ricomporre la frattura che la tecnica stessa rischia di operare a livello universale.

E quale promessa più facile e suadente può offrire l’indiscriminata massificazione della tecnica, se non quella di Mefistofele nel Faust di W. Goethe?

Non sono uno dei grandi;
tuttavia, se vuoi unirti a me
per muovere i tuoi passi nella vita,
di buon grado acconsento
a essere tuo, qui sui due piedi.
Sarò il tuo compagno
e, se ti vado a genio,
sarò il tuo servo, il tuo schiavo!
…..
Io m’impegno a servirti quaggiù
di là poi, quando ci ritroveremo,
dovrai fare per me la stessa cosa.

Faust rinuncia a percorrere il faticoso cammino che esprime tutte le possibilità creatrici dell’uomo ed è tentato di accettare ciò che gli viene offerto immediatamente, pur rendendosi conto che sarà “un cibo che non sazia, fulvo oro che senza cessa, simile ad argento vivo, ti sfugge di mano; un gioco al quale mai non si vince… il divino piacere degli onori che sparisce come una meteora… il frutto che marcisce prima che venga colto”.

Infine la tecnica mostra anche un aspetto di una natura gerarchica e aristocratica, essa condiziona e predispone – cioè – l’organizzazione sociale e ne determina l’ordine reale (v. G. Lampis – L’arte della politica al tramonto della modernità – Edizioni Mythos 1994).

Qui può prendere forma ed espandersi l’illusione prometeica, il chimerico tentativo di poterla sottrarre alla sfera del “controllo degli dei” massificandone la distribuzione e volgarizzandone il contenuto.

La forza immane della tecnica continua a mostrarsi ai nostri giorni costantemente nel conflitto tra i popoli che detengono le chiavi della tecnica e sono capaci di industrializzarla e quelli che invece sembrano solo subirne gli effetti negativi .

Ma la tecnica non può contraddire la sua natura aristocratica; se si rende disponibile alla massa ci deve essere una ragione non superficiale da scoprire. Sembra che la tecnica, per portare a compimento il suo destino, debba subire un mascheramento” (G. Lampis, op. cit.)

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